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Quella notte sfidammo la Stasi

di Christian Führer

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4 settembre 2009

Il pastore Christian Führer racconta la «rivoluzione pacifica» del 9 ottobre in un'intervista a Paola Rosà, autrice di Lipsia 1989. Nonviolenti contro il Muro (postfazione di Gian Enrico Rusconi, Il Margine). Sarà lo stesso pastore a presentare il libro martedì 3 novembre a Brescia per iniziativa della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.
Le date sono importanti, e in fondo la storia tedesca ha dovuto confrontarsi più volte con la beffa del calendario. Basti pensare al 9 novembre, il giorno tragico del pogrom del 1938 a quindici anni dal fallito putsch di Hitler del 1923 ("Putsch di Monaco"), un giorno che in quello stesso ventesimo secolo corrisponde anche al crollo del Muro di Berlino. Certo, come adesso sappiamo, si è trattato di una fatalità, di uno scherzo del destino. Sarebbe potuto accadere cinque giorni prima, poteva anche succedere cinque giorni dopo. Ma il fatto che sia successo proprio il 9 novembre crea tuttora molto imbarazzo, e le celebrazioni ufficiali di quel giorno, ogni anno, hanno sempre un retrogusto spiacevole: si festeggia la caduta del regime della Germania socialista, la ritrovata libertà di un popolo, ma allo stesso tempo si commemorano le migliaia di vittime della "Notte dei Cristalli", e si chiede scusa al mondo per le colpe dei tedeschi nello sterminio degli ebrei. Ecco perché a questa data così sovraccarica di significati, io preferisco di gran lunga il 9 ottobre. Un mese prima del crollo del Muro, un mese prima della festa in mondovisione che avrebbe portato alla riunificazione della Germania, con epicentro a Lipsia e non a Berlino.

Quel giorno si respirava un'aria da resa dei conti, e le emozioni di ogni singolo momento mi sono rimaste impresse sotto la pelle. Da settimane la DDR era in notevole difficoltà. Una fiumana di persone se ne andava attraverso la frontiera, divenuta permeabile tra Ungheria e Austria, e altre migliaia chiedevano asilo politico nelle ambasciate della Germania Federale a Budapest, Praga e Varsavia. La gente che invece voleva restare reagiva, prendendo sempre più coraggio, e un'ondata di proteste di piazza scuoteva il paese. Da Berlino a Dresda, da Lipsia a Plauen, solo nel settembre del 1989, ci sono state decine e decine di manifestazioni, che lo Stato ogni volta soffocava nella violenza. Migliaia di arresti, sparizioni, uso smodato dei manganelli, degli idranti, dei cani antisommossa avevano trasformato le strade della DDR in un'arena di sfida; proprio come a Pechino qualche mese prima, il 4 giugno, quando a piazza Tienanmen i carri armati avevano soffocato nel sangue il movimento studentesco, e il nostro governo era stato l'unico al mondo a esprimere solidarietà al partito comunista cinese. Si parlava proprio di "soluzione cinese": da settimane si prospettava la reazione dura delle forze dell'ordine, e lunedì 9 ottobre a Lipsia si annunciava come la resa dei conti. Fino a due giorni prima, festa ufficiale per i 40 anni della fondazione della DDR celebrata da Honecker a Berlino Est al fianco di Gorbaciov, il regime aveva dovuto trattenersi dall'inasprire la repressione anche per motivi tattici. (...)

Quell'autunno del 1989, che adesso in Germania tutti chiamano "la rivoluzione pacifica", ha veramente costituito un momento storico particolarissimo sia per la Germania sia per l'Europa; e, in quella fase, il 9 ottobre a Lipsia ha segnato la svolta fondamentale.
Sono importanti le date e ovviamente sono importanti le parole, ecco perché noi dell'Est non usiamo volentieri il termine "svolta" (die Wende), che invece per anni i tedeschi dell'Ovest ci hanno praticamente imposto. (...) Quello che è accaduto in quei mesi non è stato deciso dall'alto, la "svolta" non l'hanno determinata i bonzi di partito. Quella rivoluzione, invece, l'hanno costruita tutti quelli che, dal basso, con le loro poche forze, con la convinzione della nonviolenza, con l'energia della speranza, hanno fatto implodere il regime. Sono state le manifestazioni di piazza a spingere verso la caduta del regime, lo ha detto lo scrittore Christoph Hein il 4 novembre 1989, cinque giorni prima del crollo "ufficiale" del Muro, davanti a un milione di persone in Alexanderplatz. «Lipsia merita il titolo onorario di città eroica», ha detto Hein, e il fatto che un berlinese conferisse tali meriti a noi della periferia, è qualcosa che ancora adesso ci impressiona. Era Lipsia, infatti, il centro della protesta, a Lipsia quel 9 ottobre si sono raccolte 70mila persone e, nel cuore di Lipsia si trova la chiesa di San Nicola (Nikolaikirche), fulcro della protesta, scintilla dei moti di piazza.

San Nicola, di cui sono stato pastore e presidente del consiglio parrocchiale dal 1980 al 2008, è il luogo da cui è partita la transizione che ha portato alla rivoluzione del 1989, che poi ha assunto direzioni autonome. Dal 1982 vi si tenevano ogni lunedì le preghiere per la pace, quelle liturgie aperte che servivano anche a consolidare la rete tra movimenti di base, pacifisti, ambientalisti, attivisti per i diritti umani, intellettuali banditi dalla vita pubblica. Sotto l'ala protettrice della Chiesa evangelica, che ufficialmente si asteneva dalla politica attiva avendo sottoscritto precisi accordi con lo Stato, i dissidenti e gli oppositori o semplicemente gli scontenti, potevano trovare uno spazio di confronto. (...) Per questo negli anni Ottanta molte chiese della Germania orientale erano diventate, spesso in contrasto con il volere dei rispettivi vescovi, centri di dibattito e riflessione, luoghi di libertà considerati eversivi dal regime. Si tenevano concerti, letture di scrittori proibiti, si stampavano materiali invisi al regime, si incontravano attivisti dall'Ovest. Ma quello che ha reso San Nicola a Lipsia diversa da tutte le altre è stata la capacità di raccogliere migliaia di persone, infondendo loro il coraggio di scendere per strada, di starsene in piazza anche dopo la funzione religiosa a gridare il loro bisogno di riforme. Certo, noi pastori non potevamo incitare pubblicamente alla rivolta, noi che come milioni di cittadini eravamo nel mirino della Stasi, della polizia segreta, dovevamo mantenere un equilibrio almeno di facciata: «Noi ci limitiamo a pregare – ho detto più volte al funzionario della polizia che mi convocava con le scuse più astruse, dal disturbo della quiete pubblica a presunti motivi di sicurezza nazionale –. Noi ci ritroviamo nella Casa del Signore a pregare per la pace, e questo dovrebbe piacere anche allo Stato socialista!».

  CONTINUA ...»

4 settembre 2009
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